Vivere nella paura #2, noi, loro e il nemico invisibile
Oggi è il 4 di marzo, il sole è quello primaverile l’ho visto prima dalla finestra.
Milano è Zona Gialla dal 24 febbraio. Ce la passiamo meglio di chi vive nella Zona Rossa ma la differenza che c’è tra i due colori e i due stati è labile e può cambiare da un momento all’altro. Noi siamo loro e loro sono noi. Si chiama precarietà lo stato nel quale siamo tutti immersi dal giorno zero.
Stiamo imparando a convivere con un ospite indesiderato. Ci avesse calpestato Godzilla sapremmo contro chi combattere. Godzilla lo vedi. Il nemico invisibile atterrisce e non parlo solo del covid19.
La paura divide, l’empatia unisce. Il cominciare a parlare dicendo noi e loro è già mettere una distanza. Come il metro a cui dovremmo tutti stare dalle persone in via precauzionale per abbassare le possibilità di contagio. Ma non posso non pensare che questa distanza fisica e mentale non avrà — ha già? — un prezzo da pagare. Oggi siamo disposti a farlo per un bene superiore ma la portata avrà conseguenze sul lungo termine.
Parlo di empatia perché praticarla credo sia lo strumento propedeutico al non perpetrare atteggiamenti discriminatori.
L’empatia non significa essere stupidi ed esporsi inutilmente a dei rischi, l’empatia si manifesta comportandosi da persone decenti invece che da stronzi irrazionali oggi, servi della tirannia della paura domani.
Stanno già avvenendo queste cose e si comincia dai piccoli gesti insignificanti. Da un italiano che va in montagna in Francia e si sente dire che è meglio che faccia la colazione in stanza, dalle secchiate di vernice nera buttata fuori dalle case di alcune persone nella Zona Rossa, dalla persona che ti dice in faccia non darmi la mano orripilata e tu nemmeno stavi pensando di farlo, dall’ipocrisia del se hai bisogno fammi sapere. Cosa ti deve far sapere uno che sta peggio di te? Fai qualcosa tu, qualsiasi cosa.
Viviamo in un tempo sospeso dove la vita che avevamo è prima e quella che abbiamo oggi è dopo.
Ci abbiamo provato finché è stato possibile a reagire con la rimozione, è tipico della mente respingere il cambiamento ma abbiamo un ospite sgradito più svelto e molto, molto ben attrezzato a mutare. Adattabile, veloce, silenzioso e invisibile. Prendiamone atto.
Prendo atto anche che ci abbracceremo di meno e se lo faremo, ci saremo assunti un rischio. Voi non ci state pensando a questa cosa ma io voglio, perché voglio che il giorno in cui qualcuno che amo (ho detto qualcuno che amo, non posso dare per scontato il contrario) mi volterà le spalle perché la Zona Gialla è diventata Rossa o sailcazzo per qualsiasi altro motivo, voglio essere libera subito da qualsiasi senso di inadeguatezza.
Subito, perché il giorno in cui qualcuno della mia cerchia si ammala io possa mostrargli empatia, non la mia paura o ancora peggio, il mio silenzio. E viceversa.
Se c’è una cosa che le situazioni precarie riescono a far emergere è la reale natura delle persone. Fateci caso, non si riesce più a mentire, c’è in ballo la propria auto-conservazione. Se non siete mai stati in questa modalità scoprirete cose di voi e degli altri incredibili. Alcune magnifiche altre talmente brutte che sarà impossibile ignorarle. Accendete il cervello nei giorni a venire e prendete nota di tutto. Avremo bisogno della lucidità.
La malattia viene spesso trattata come una colpa, come una punizione perché per retaggio educativo in questo paese si è sempre dato un significato altro, quasi esoterico alle cose che sono sempre successe dacché l’uomo esiste. L’atteggiamento generalizzato è sei malato? Colpa tua. Se c’è una cosa che è democratica e se ne fotte se sei un assassino o una brava persona, è la malattia. E se da una parte il fatalismo sembra un antidoto dall’altra la totale mancanza di prudenza appare come un atto doloso.
Bisogna anche che parliamo dell’elefante nella stanza: cosa fare, come aiutare, come gestire un eventuale contagio.
Torniamo alle responsabilità del singolo: se dovessi ammalarmi o una persona vicino a me mi comunicasse di essersi contagiato ci sarebbero più livelli di comunicazione e penso che avrei molta paura ma non va tenuto nascosto, espone altri. Penso anche che vorrei misure di aiuto psicologico, di accoglienza, vorrei empatia. Non sarei coraggiosa a farlo, sarei semplicemente decente.
Provvedimenti a zone, la Repubblica
Siamo fragili non vergognamoci, Barbara Stefanelli
Cosa succederà, Francesco Costa