Vivere nella paura #1, i giorni della quiete

Daniela Losini
4 min readFeb 26, 2020

Avevo circa 17 anni o giù di lì ed ero al mare, nello stesso posto in cui andavo da anni con lo stesso giro di amici estivi più o meno da quando avevo 14 anni. Ci si scriveva cartoline e lettere durante l’anno e le feste, ci si prometteva di rivedersi ogni estate e di passare le giornate insieme. Una sera eravamo a casa di un paio di amici. C’era un ragazzo che mi piaceva e volevamo baciarci così ci eravamo allontanati dagli altri. Della sua stanza ricordo una cosa: c’erano tutte le prese d’aria coperte dalla carta di giornale. “Come mai la carta di giornale?” “Perché ho paura che possano arrivare cose sconosciute dai condotti”.

Mi ero messa a ridere: “Ma che dici’” ed è stato lì che Marcello, un ragazzo che forse avrei dimenticato di lì a qualche tempo, mi ha dato una delle lezioni più importanti della mia vita. “Non si ride delle paure degli altri”.

Aveva ragione. Questa cosa me la sono sempre portata dentro e ogni volta che osservo la paura, la ripesco. A volte la dimentico ma quando serve, come in questi strani giorni, mi aiuta a riflettere su parecchie cose.

La situazione che stiamo vivendo in Lombardia, Italia dal giorno zero che — se siamo tutti daccordo — possiamo identificare in lunedì 24 febbraio quando le misure precautelative contro il covid19 sono diventate ordinanza, è una situazione di allarme.

Se il buon senso ci guidasse sempre sapremmo automaticamente distinguere tra allarme e allarmismo, tra norme di comportamento auspicabili e leggende metropolitane. Sapremmo con grande istinto selettivo discernere con razionalità ma quando si presenta la variabile paura tutto cambia. Bisogna che ognuno attraversi la propria, non importa che sia giustificata o meno, supportata o meno da statistiche o altri elementi razionali. Va considerata, altrimenti la paura controlla tutto.

Nel territorio della paura non è possibile né minimizzare né estremizzare, gestire sì. Le Autorità cercano di fare l’unica cosa intelligente, gestire. L’isolamento a zone in Lombardia non è piacevole ma ha uno scopo, non diffondere il contagio che ha reale velocità da contenere.

Noi singoli invece cerchiamo conferme: razionali o meno, di ciò che è istintivamente risonante col nostro pensiero. Tendiamo a leggere solo cose che avallano la teoria di cui ci siamo innamorati, parliamo solo con persone che sono affini al nostro modo di sentire l’emergenza, tendiamo a rassicurarci con le informazioni che scegliamo e che (crediamo di sapere?) sappiamo maneggiare. Va bene ma bisogna anche tenere accesa la lampada dello spirito critico. Ciò che sta succedendo oggi sarà la riflessione di domani. No, non mi candido, preferisco fare la narratrice del mio tempo dal mio avamposto, col frigo pieno (ma il mio è SEMPRE pieno, i miei amici mi sfottono da eoni) e le preoccupazioni sul filo del telefono. Ha valore tutto, oggi.

Bisognerebbe pensare alla questione non in termini di giusto o sbagliato ma in termini di soggettività, lo trovo più onesto, così sfrondiamo di colpo qualsiasi giudizio sui comportamenti altrui perché sono vere molte cose, non una sola, ed è vera soprattutto per noi, quella che abbiamo scelto. Lo stesso vale per gli altri. Porto sempre l’esempio di Scientology. Irridere va bene, essere sarcastici, ironici sulle “credulonità” altrui è sano, direi vitale. Consente subito di prendere delle distanze da ciò che non capiamo o ci è alieno ma non può essere l’unico modo per comprendere il fenomeno. Ci sono milioni di seguaci, non possiamo liquidare la faccenda pensando che siano tutti degli stupidi. C’è altro. L’umorismo ai tempi del covid19 allevia ma non dà risposte. Forse è una risposta ad alcune cose, ma non l’unica.

Parlo di Milano: ci sono supermercati vuoti e ci sono supermercati riforniti, le strade sono silenziose in alcuni momenti, in altre sono trafficate. Ieri piazza del Duomo era spoglia all’ora in cui ci sono passata, i negozi del centro erano semi vuoti, Montenapoleone pressoché deserta. La distanza di sicurezza di due metri tra un essere umano e l’altro (come consigliato) veniva rispettata in ogni luogo in cui sono stata. Ho sentito un tizio coi guanti bianchi e la mascherina borbottare qualcosa di antipatico contro i cinesi che non se ne stanno a casa loro. Volevo dirgli pirla, il virus è partito dalla Cina non significa che sia cinese, ma poi ho deciso di risparmiare energia. Non credo che avrebbe cambiato idea, lui vive la sua personale narrativa, io la mia. Moltiplicate tutto per diecimila teste. Moltiplicate tutto per tutti. Polarizzate e condite con una serie di notizie strillate come si strillavano una volta la peste, la spagnola e il colera con altri mezzi. Oggi possiamo verificare in dieci minuti qualsiasi cosa, chissà perché non ci si prende manco la briga di farlo ma si delega. Ci sono le indicazioni ministeriali, ci sono i medici, ci sono le fonti dirette ma sembra più comodo delegare ad altri (i media, i social media, mio zio che ha fatto la guerra, etc) perché informarsi oggi dove tutto è così vicino, così istantaneo, costa fatica. Stiamo vivendo, stigmatizzo, la variante del l’hanno detto in TV e allora deve essere per forza vero. L’unica cosa che cambia è che le informazioni sembrano spuntare come funghi ogni minuto. Non succede da un giorno questa cosa. Ma adesso è chiarissima perché ci è entrata in casa di prepotenza.

Sto raccogliendo alcune cose sull’argomento che mi stanno facendo riflettere, continuerò a farlo nei prossimi giorni. Credo si abbia il dovere di provare a raccontare come si riesce, con tutti i limiti del caso. Dalla mia finestra sul mondo è tutto. Per oggi.

Da leggere

Ho paura della paura, Lucia Del Pasqua

Il mio tempo sospeso, Floria dalla zona gialla

Quando tutto questo sarà passato, Paola Sguazzini

La voce degli isolati di Codogno, Federico Rocca

Il nostro sistema è inadeguato, Jennifer Guerra

Le emergenze, Pietro Saitta

Le foto di Marzio Toniolo

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