Daniela Losini
4 min readNov 24, 2020

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Ci eravamo messi alla finestra e il mondo è passato

  • Diario della Pandemìa da novembre 2020

Sono passati mesi dal primo lockdown che, a pensarci bene non è mai stato dichiarato chiuso e anche quando qualcuno lo farà, da qualche parte nelle nostre teste non smetterà mai di esistere. Ce lo dimenticheremo, forse, ma rimarrà. Nel 3049 ci saranno ancora tracce di lockdown nel dna.

Siamo entrati nell’inverno del nostro scontento. Per alcuni è cominciato prima: il ritmo interno ha smesso di rispondere agli automatismi cui era assuefatto. Se è vero che la routine scandisce è anche vero che quando parliamo di lei continuiamo a pensare che faccia rima con prevedibilità. Invece poterne stabilire una significa avere il lusso di organizzarsi perché l’ambiente in cui viviamo è sicuro e abbiamo imparato a conoscerlo. Avere una routine oggi, è una conquista.

Te la ricordi la vita che si faceva prima? Non esiste più. Ci piaceva la vita che facevamo prima? Alcune cose sì, altre no. Ci piace la vita che facciamo oggi? Alcune cose sì, altre no. Un simulacro, una rimozione, un’integrazione oppure tutto il menu. Abbiamo attraversato specchi e poi siamo tornati al punto di partenza.

Qualche settimana fa ho mandato i cappotti a lavare.

Ne ho indossato uno: era oversize mi sta ancora più grande oggi. Ho lo stesso peso ma devo essermi rimpicciolita. Ho mandato i capotti a lavare con la stessa ingenua intenzione con cui ho deciso di recuperare i due mesi di abbonamento Atm su novembre (che è durato 24 ore) e dicembre. Ho voluto crederci. Una parte di me ha voluto davvero crederci che avrei preso la metro, che avrei messo il paltò per dire tra me e me tutti questi strati addosso, ma perché non è maggio, voglio maggio e la promessa di giugno, le piscine di luglio, la pigrizia d’agosto.

Vivo costantemente divisa in due ma non dissociata. Anzi mai stata così presente e lucida. Credere che si recuperino dei pezzi è sano. Li recupererò? C’è spazio per altro? Mi sono messa alla finestra a immaginare tutti i viaggi che non ho fatto, gli abbracci che non ho condiviso e i baci che mi sono rimasti nella gola. Perché di questi desideri mancati mi rimanga almeno il dubbio che chissà se li avrei esauditi mai. Significherebbe aver potuto scegliere di farlo. Invece guarda che bel cielo pieno di nuvole rosse cariche di nostalgie.

Ho preso la bici e sono andata dappertutto, ho ricevuto molte cose belle, gesti di affetto tradotti in piccoli pensieri nelle messaggerie, in suoni del campanello. Ecco il corriere, ti è arrivato il regalo? Sì ti stavo pensando, anche io, hey scritto così, ti racconto un sogno che ho fatto, eri qui.

Avere una rete fa rete ed è la rete. Spesso ci rimango impigliata. Ancora non ho imparato bene a mettere dei confini. Uso le limitazioni temporali che finisco con l’ignorare intenzionalmente. Sono decisioni precise e non voglio togliermele, voglio trasgredire e sentire il gusto di poterlo fare.

Avete fatto l’albero? Non lo avete fatto? Avete rotto il cazzo? Secondo me sì tantissimo. Soprattutto ce lo siamo rotti da soli. Lo sento il rumore delle lotte e delle litigate che vi sono rimaste nel corpo. Fate pace. Oppure imparate a litigare. Ci ho perso una delle mie vite a non essere capace, e ci sono quasi morta. Forse avete ragione voi a essere sempre incazzati per qualcosa, me la fiaccate certi giorni la volontà ma siete anche polso e test per la mia reale voglia di fare le cose che dico di voler fare. Voglio scrivere ma poi guardo la tastiera nuova e se prima mi arenavo sulla scusa della scomparsa delle e, adesso batto la fiacca perché ho davvero poco da dire. Cosa ti dico? Sono svuotata ma magari tra cinque minuti mi scappa da ridere e allora, meglio. Sono spesso senza fiato e spesso faccio fatica a salire sulla cima per vedere le cose da una prospettiva più ampia. Voglio esserci e allo stesso tempo essere trasparente, voglio uscire poi sento freddo. Voglio rimettere a posto l’armadio poi mi arriva una tornata di pensieri intrusivi (so come fare ma sono come il canto delle sirene in alcuni momenti) che mi porta altrove e ogni tanto perdo la strada del ritorno ma ho la mia costante, la mia trottola, il mio daimon.

26/11

Oggi no, è no.

27/11

Oggi è il giorno in cui sei morta, Mery. Così è successo nella tua amata Puglia, perché in nessun altro luogo sarebbe potuto succedere il tuo ultimo pezzo di viaggio in questo mondo. Ho una pianta in casa che si chiama come te. Quando me l’hai portata due anni fa era giusto in questo periodo. Avevamo riso, la pianta Mery. Di quel tempo lì ho delle polaroid. Un gruppo di matte dentro la doccia perché guarda come è fotogenica la tua doccia. Poi in un’altra ci sei te da sola seduta al tavolino di casa mia, coi capelli cortini e un maglione a grana grossa. Mi guardi e sorridi con quella faccia lì da gatta furbina. Non le posso contare le volte che ci siamo dette le cose che ci volevamo dire ridendo, non le so dire le volte che mi sono avvolta nel calore della persona autentica che sei sempre stata. Mi hai fatto sentire al sicuro come ti fa sentire al sicuro una sorella maggiore. Ho accudito la pianta Mery con dedizione senza sapere che sarebbe stata la prima di una serie. Ora ho 17 piante e ho persino fatto delle talee. Se ti posso raccontare in un millesimo per me sei questo Mery. Qualcuno che senza saperlo ti regala le parti migliori di te.

continua

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